Relazioni (semiotiche)

Se vogliamo trovare un concetto chiave della semiotica, il concetto su cui essa si fonda, questo è io concetto di relazione. Senza tale concetto, infatti, non sarebbe possibile alcun pensiero semiotico.

La relazione prima è quella fra un soggetto e il mondo-ambiente (Umwelt) in cui si trova. Mondo che, in sé, gli si presenta come oscuro e carico di estraneità, o alterità. E anche, come carico di possibilità.

Sarà proprio la tensione verso la conoscenza dell’infinità di questo mondo che innescherà quell’attività mentale, e quindi operativa, che chiamiamo produzione segnica.

Wayfinding e cognizione spaziale

«Sì, il wayfinding è sicuramente un’istruzione per l’uso. Ma deve trattarsi di un’istruzione dal basso: istruzione come predisposizione, più che come ordine. Detto altrimenti, il wayfinding ideale è la risposta a domande prima che queste vengano poste.

Ricordi il film Totò, Peppino e la malafemmena? Qui i due protagonisti si trovano per la prima volta a Milano, in piazza Duomo, cercano una ballerina e si rivolgono a un vigile con l’ormai famosa domanda: “Per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare? ”. Noi abbiamo sempre bisogno di istruzioni, anche quando non sappiamo bene che cosa e come chiedere. Per questo dico che il wayfinding comporta un’istruzione non autoritaria: non ti insegna, si mette al tuo servizio. Anticipa le tue domande, ha sempre una risposta».

Questo brano è tratto da una intervista che mi fece Linda Melzani, come parte della sua tesi di laurea magistrale Generative Travel (relatore Stefano Mandato, Facoltà del design, Politecnico di Milano, 2006).

Se vuoi leggerla tutta, scarica qui il pdf: Wayfinding e cognizione spaziale

Pubblicare, esporsi

Parafrasando un noto e profetico aforisma di Andy Warhol, diciamo che nell’epoca del Web tutti saranno autori per 15 minuti. Il Web offre a tutti, ma proprio tutti, la possibilità di avere il proprio momento di notorietà in quanto autore di un qualsiasi testo. 
La cosa, a dire il vero, non ha molta importanza. Però porta alla piena evidenza un principio: chi
pubblica cerca un pubblico.
Ma se prima del Web pubblicare voleva dire presentare ad altri il prodotto di un proprio lavoro, rendere di tutti ciò che è di uno solo, forse oggi pubblicare vuol dire anche – e soprattutto – un’altra cosa: esporsi.
Esporsi vuol dire essere , quasi fisicamente, certamente con una parte della tua mente e sensibilità, insieme a quello che hai appena scritto e pubblicato schiacciando il tasto “Pubblica” (comunque si chiami). Lì come un San Sebastiano esposto alle frecce di chi ha subito da ribattere, di chi non ti ha capito, di chi entra con la sua scrittura dentro la tua scrittura.
E questo è bello, perché i testi diventano inevitabilmente dialogici: sono un’azione che attende una reazione, che ti arriva in faccia e subito. Esposti e dialogici, i testi sono pur sempre racchiusi dentro margini, ma ora la loro recinzione ha sempre un lato aperto. Non è detto che arrivino frecce; e non è detto che sia un bene che arrivino fiori. La pratica del dialogo non è né guerra né amicizia. È mettere in atto un principio semiotico ed epistemologico che abbiamo quasi del tutto dimenticato: che il pensare è necessariamente un  “pensare insieme”.

Gérard Genette, più di ogni altro, ci ha mostrato e dimostrato che nessun testo ha vita autonoma e che la transessualità è un principio che appartiene alla nozione di testo così come il sale appartiene al mare. I testi si attraversano già di per sé.
Non sappiamo ancora bene come sarà il futuro del libro. Sappiamo che nel nostro presente il futuro delle tecnologie dura poco, che diventa presto passato. Ma io voglio sperare che gli strumenti con cui scriveremo, pubblicheremo e leggeremo – compresi i libri –, mettano sempre più in evidenza questo principio dialogico applicato al pubblicare. E che in questo modo si faccia strada – come suggerisce lo scienziato ed epistemologo David Bohm – un atteggiamento nei confronti del mondo fondato sulla “sospensione” di assunti, presupposti e convinzioni.

Pubblicare, vuol dire far entrare gli altri nella propria scrittura.


Nell’immagine di copertina, un disegno di Giovanni Anceschi, disegnato durante la presentazione di Progetto Grafico 28 alla libreria Bk di Milano.

Umtopia

Nel settembre 2016 Oriana Persico mi invita a scrivere una voce per il progetto UTopia’: un dizionario partecipato, ubiquo e connettivo per reinventare nuovi significati e nuove estetiche dell’utopia contemporanea capaci di riconoscere “la bellezza di ciò che interconnette” (G. Bateson).

Qui la spiegazione del progetto.

Qui il mio lemma (che trovate anche qui sotto, in italiano e in inglese).

Umtopia

s.f. [dal tedesco um (prep. e avv.) e dal greco topos (luogo)]. – In tedesco, Um non ha una propria definizione lessicale, ma una volta sintatticamente associato ad altre parti del discorso apre una moltitudine di scene semantiche. Qui interessa il suo uso come suffisso, quando modifica e riorienta il senso del verbo o del sostantivo al quale viene unito.In particolare, due sono le direzioni di senso che di Um interessano. 1. Quando Um rappresenta lo “stare intorno”: Umwelt è il mondo circostante, l’ambiente; Umschlag è l’involucro; Umschiffung è la circumnavigazione; Umarmung è l’abbraccio. 2. Quando Um rappresenta l’idea del cambiamento: Umzug è il trasloco; Umtausch è lo scambio di beni; Umbilden è il cambiare formazione e professione; Umbauen è il ricostruire un artefatto per modificarlo interamente.

Umtopia è il luogo che ti avvolge e include, il luogo nel quale si sviluppa la vita biologica e sociale, il luogo che occorre costantemente esplorare. Ma è anche il luogo dove tutto muta, dove si passa da una condizione all’altra, dove il conseguente ha origine dal precedente e il senso delle cose lo cogli solamente nella loro continua trasformazione. Umtopia, in altre parole, può essere l’intero pianeta Terra e tutto ciò alla Terra assomiglia: ogni insieme e ogni cosmo in costante mutamento. Ad esempio, Umtopia è la stanza di un artista irrequieto.

Umtopia

noun [From the German um (prep and adv.) and the Greek topos (place)]. – In German, Um does not have its own vocabulary definition, but once syntactically associated with other parts of speech, it opens up a multitude of semantic scenes. Here it concerns its use as a prefix, when it modifies and reorients the meaning of the verb or noun to which it is joined.

In particular, there are two interesting directions of Um‘s sense. 1. When Um represents “being around”: Umwelt is the surrounding world, the environment; Umschlag is the wrap; Umschiffung is the circumnavigation; Umarmung is the embrace. 2. When Um represents the idea of ​​change: Umzug is the moving; Umtausch is the exchange of goods; Umbilden is changing training and profession; Umbauen is rebuilding an artifact to completely modifying it.

Umtopia is the place that encompasses you and includes you, the place where biological and social life is developed, the place you need to constantly explore. But it is also the place where everything changes, where one passes from one condition to another, where the consequent originates from the antecedent and the meaning of things can be understood only in their continuous transformation. Umtopia, in other words, can be the whole planet Earth and all that this Earth resembles: every set and every cosmos in constant movement. For example, Umtopia is the room of a restless artist.

 

 

Intervista sulla Scuola Open Source

Nel settembre 2015 i pirati che avrebbero dato vita alla Scuola Open Source mi chiesero un’intervista, pubblicata su Gli Stati Generali, per aiutarli a vincere il bando di Che Fare.

“Open source è ricorsivo,
come i frattali”

Raccontaci la scuola dei tuoi sogni.

La scuola dei miei sogni la sintetizzo allora in tre parole: sperimentazione, ricerca, dialogicità. Non c’è altro modo, dentro e fuori una qualsiasi scuola, per far crescere la conoscenza. Erroneamente si pensa che la sperimentazione sia propria solo nelle scienze della natura. Non è così.

Anche nelle scienze umane e del progetto la conoscenza va conquistata passando per l’esperienza del laboratorio. Ipotizziamo pure tutti i mondi e le cose che vogliamo, ma solo le ipotesi che sopravvivono alla prova della sperimentazione hanno possibilità di vita. [continua]

Scarica il Pdf con tutta l’intervista.