[ita] — Sono Professore associato e insegno Semiotica del progetto al Dipartimento di Design del Politecnico di Milano. La semiotica l’ho incontrata sulla mia strada senza mai cercarla, per le leggi del caso e della simpatia. Non c’era alla Statale di Milano nel 1974, dove pensavo di studiare filosofia; ma c’era al Dams di Bologna nel 1976, dove però mi trasferii per studiare storia e critica d’arte.
Dopo varie, diverse e avventurose esperienze di insegnamento fra Milano e Francoforte (corsi di licenza media per i lavoratori italiani alla Opel di Rüsselsheim e per quelli detenuti nel penitenziario di Dieburg; un ricerca sulla lingua degli emigrati di seconda generazione alla Fachhochschule di Wiesbaden; dodici anni all’Istituto d’Arte di Monza) ho incontrato di nuovo la semiotica iniziando a collaborare prima con Giovanni Anceschi, poi con Massimo Bonfantini in una delle poche “riserve umanistiche” del Politecnico di Milano, fino ad arrivare alla docenza alla Scuola del Design.
Mi sono laureato con una tesi sui sistemi di scrittura e sulla poesia visiva. È da allora (1981) che ho in programma di scrivere un libro di semiotica della scrittura o grammatologia semiotica. Prima o poi arriverà. La scrittura visuale è in fondo la mia grande passione, da quando ho conosciuto le opere e l’amicizia di Vincenzo Accame, Emilio Isgrò e Ugo Carrega. E di altri ancora. La scrittura visuale è l’incontro di tre passioni: la parola poetica, l’immagine inventiva, il design della comunicazione.
Nel 1992, grazie a Pasquale Campanella e a Mario Gorni, ho anche allestito la mia prima e unica mostra artistica: L’ufficio dell’impiegato Sig. Blume. Quest’opera l’ho poi trasformata in ipertesto (link).
La scienza dei segni l’ho appresa con Umberto Eco, mio relatore di tesi, e con Massimo Bonfantini, che mi chiamò a collaborare alla cattedra di Semiotica al Poli, nei primi anni di vita del corso di laurea in disegno industriale.
Con Massimo Bonfantini mi occupo dell’organizzazione dei seminari del Club Psòmega e della cura della collana editoriale che porta lo stesso nome. Massimo mi ha insegnato molto di Peirce, ma ancor più mi ha aiutato a capire dove cercare la ragione più bella degli studi semiotici: nella pratica della vita inventiva.
Anche il design è arrivato sulla mia strada per mera coincidenza, più che per destino. Prima attraverso gli studi artistici (Walter Gropius e la Bauhaus di Giulio Carlo Argan è stata una lettura di formazione fondamentale); poi insegnando all’Isa di Monza; infine iniziando a collaborare, come redattore, alla rivista “Ergonomia”. Il design mi affascina e mi irrita. Perché il design è necessario, e perché molto design è superfluo.
In ogni caso, i miei interessi di ricerca nell’ambito della semiotica e del design riguardano:
la semiotica del progetto, ossia sul ruolo dell’attività interpretativa (la semiosi) nei processi progettuali;
la comunicazione accessibile, ossia su una comunicazione orientata all’ottenimento di benefici e servizi per l’utenza;
lo sviluppo degli aspetti dialogici del design, inteso come progettualità;
lo studio dei processi inventivi nel progett